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La formazione dell’RSPP: criticità
- 3 Febbraio 2020

Appare opportuno cominciare subito con una riflessione sul ruolo dell’RSSP, su cui si è concentrato l’ultimo Accordo Stato-Regioni del 7 Luglio 2016 che, all’Allegato IV, descrive l’RSPP “come una «figura manageriale» chiamata ad essere «protagonista dell’organizzazione aziendale in materia di sicurezza e salute dei lavoratori», affiancato, se previsto, da un ASPP, con il quale costituire il riferimento aziendale per la «valutazione, la programmazione e la consulenza» in materia previdenziale”.
La formazione dell’RSPP: un ruolo potenziato
Siamo dunque in presenza di un innovato e potenziato ruolo, di un RSPP – centrico, ancor più “parafulmine” per il Datore di lavoro, in grado di espletare professionalmente ed efficacemente le proprie funzioni di supporto, al di là della propria competenza, solo in quelle imprese dove il Datore di lavoro lo mette nelle condizioni di poter realmente operare.
Ci si sarebbe aspettati, in particolare per l’RSPP, un percorso formativo mirato a fornire le conoscenze e le competenze utili e necessarie allo svolgimento di un tale “rinvigorito” ruolo, così puntualmente ed esaustivamente descritto. Ma tale non è stato.
Confermati sostanzialmente nei temi e nelle ore il modulo A e il modulo C, il cambiamento si è concentrato solo nel modulo B (di 48 ore), andando a uniformare il percorso formativo per tutti i settori produttivi, un tempo modulare, in quanto riferito ai rischi specifici collegati ai codici Ateco aziendali, prevedendo solo quattro moduli aggiuntivi (al Modulo B generale), chiamati «di specializzazione», previsti per settori e codici Ateco e, pertanto, per rischi specifici, di livello e complessità più alta (SP1 Agricoltura-Pesca, durata 12 ore; SP2 Cave-Costruzioni, durata 16 ore; SP3 Sanità residenziale, durata 12 ore; SP4 Chimico- Petrolchimico, durata 16 ore)”.
La formazione dell’RSPP: cosa accade nelle aziende
Purtroppo lo spaccato di molte realtà imprenditoriali odierne è quello di aziende che di frequente non si mettono in gioco nella loro interezza, hanno un approccio poco propositivo nei riguardi delle problematiche della sicurezza e della tutela della salute e non creano un ambiente predisposto a condividere ed attuare le iniziative dell’RSPP.
Il rischio è quello che qualunque tipo di formazione per gli RSPP diventi praticamente inutile se nelle aziende si continuerà a intendere il ruolo del RSPP quale quello di:
- cartaio e cioè fabbricante di documenti da tenere nel cassetto e da esibire a richiesta all’ente di vigilanza;
- normotecnoburosauro e cioè esclusivo depositario delle norme di legge e delle procedure tecniche;
- negoziatore del conflitto interno (azienda – sindacati) per le tematiche della sicurezza sul lavoro;
- negoziatore del conflitto esterno (azienda – organi di vigilanza), per le tematiche della sicurezza sul lavoro;
- filtro per il datore di lavoro, riguardo alle specifiche informazioni e le pressioni ambientali provenienti dall’esterno.
Pertanto, il problema non sta solo nella ridefinizione del bagaglio formativo di RSPP e ASPP, rivisto con il nuovo Accordo, ma soprattutto negli atteggiamenti e comportamenti che ne derivano.
Il problema prioritario che si dovrebbe porre il legislatore è quello di individuare ulteriori strumenti necessari per spingere le aziende a sviluppare una propria cultura della sicurezza e cioè l’integrazione della stessa tra i principi ed i valori che regolano il rapporto tra gli individui e l’organizzazione d’appartenenza.
Articolo a cura dell’Ing. Roberta Gandolfo
Responsabile area tecnica S.I.M. S.r.l.